C’è chi racconta l’amore con fiocchi e metafore innocue, e chi invece decide di farlo per ciò che è davvero: un territorio politico, un campo di forze, un altrove possibile. Un Fantastico Altrove nasce proprio qui, nella frizione tra intimità e gesto pubblico, tra pelle e linguaggio, tra archivio privato e immaginario collettivo.
Nel suo diario visivo, che è insieme racconto autobiografico, mappa queer e dichiarazione di esistenza, Silvia Clo Di Gregorio, attraversa fotografia, scrittura e attivismo con una sincerità disarmante: corpi non conformi, chat d’archivio, cartoline con un dead name che non chiede permesso per essere guardato, e un amore che diventa spazio politico senza mai trasformarsi in slogan.
La sua pratica non solo documenta ma costruisce. Un luogo, una geografia, una possibilità. Un altrove che è privato ma non esclusivo, vulnerabile ma non fragile, profondamente personale e inevitabilmente universale.
In questa conversazione, entriamo dietro le quinte di un progetto che non vuole “rappresentare” la comunità queer, ma abitare la complessità dei suoi corpi e dei suoi legami. Un lavoro che non chiede di essere capito: chiede di essere visto. E, soprattutto, di essere immaginato.

Un Fantastico Altrove è stato definito un “diario visivo e politico” che racconta la relazione fra te e Samuele Galli, attraversando distanza, ritorni e trasformazioni. Quale momento della vostra storia senti che incarna meglio quella tensione tra intimità personale e atto politico?
Sam stava seguendo un workshop di scrittura creativa e un esercizio da fare era di prendere una corda (un oggetto concreto) e di oltrepassare i propri limiti figurativi, andando oltre la propria comfort zone. Così Sam ha scelto di mettersi a nudo. Io l’ho seguito e gli ho scattato questa foto, lasciandogli spazio e sapendo quanto per lui fosse importante e difficile quel momento, andando oltre la disforia di genere. Per me questa foto è una sorta di viandante sul mare di nebbia ma in versione nuda, libera.

Hai scelto il formato del diario fotografico, un “visual diary”, invece di un racconto puramente testuale. Cosa ti ha spinto a raccontare questa storia attraverso immagini, e non solo con le parole?
Mi piaceva riprendere la mia passione per la fotografia e l’archivio visivo che abbiamo tra me e Sam, focalizzandoci non solo sulla nostra relazione, ma anche su come si è costruito il nostro rapporto, prima di amicizia e poi di amore. Essendo cresciuti nella stessa via, la nostra prima foto insieme è datata 2003. Le nostre foto d’infanzia, le cartoline che gli inviavo, sono parti del nostro immaginario visivo comune e volevo fossero presenti in Un Fantastico Altrove.

In Un Fantastico Altrove compaiono cartoline con il dead name, fotografie a volto coperto, frammenti di archivio privato. Quanto è stato complesso confrontarti con la vulnerabilità e con la responsabilità di rendere pubblica una storia così intima e queer?
La scelta di mostrare e di raccontare è stata condivisa, senza che diventasse didascalica o stereotipata. Infatti, Un Fantastico Altrove non è un libro sulla transizione di genere, non ho uno sguardo pietistico: è più un’euforia, un gioco, un prendere per mano il lettore e invitarlo a tuffarsi nelle nostre vite. Per quanto riguarda mettere a nudo l’altro, non solo me, va di pari passo con il lavoro che sta facendo Samuele negli ultimi anni come attore e come advocate per i diritti trans, nel suo TEDx del 2024 parla di sé con il cuore aperto. Entrambi siamo allineati su questo, alla fine il nostro intento è di raccontare storie.
Parlando del progetto, hai detto di voler “reinventare un luogo inclusivo, queer”, una sorta di altrove personale e collettivo. Che cos’è per te questa “geografia dell’altrove”? Una fuga, una conquista, un orizzonte politico?
L’immaginazione è fondamentale per inventare spazi e luoghi. Virginia Woolf diceva che era l’unica vita eccitante, quella immaginativa e, in qualche modo, Un Fantastico Altrove è quella scintilla. Non volevo però che rimanesse tutto nella mia mente, per questo la geografia dell’altrove è ricreare questi spazi nel mondo. Che sia poi politico perché mostrare le nostre identità e i nostri corpi non conformi, sia considerato un atto sovversivo in Italia, è una conseguenza.

Un Fantastico Altrove è un libro bilingue e pubblicato da un editore italo-canadese. Dopo averlo portato anche all’estero, quale idea di “altrove” speri rimanga a chi lo legge?
Il libro in Canada, a Toronto e a Montreal, è stato accolto bene. C’è un’apertura all’ascolto dell’altro concreta, attenta, interessata anche verso un’artista italiana, che non stereotipa l’Italia ma in parte la critica. Spero che chi lo sfogli, ovunque sia, leggendo le parole di Micaela, assaporando la grafica ma anche solo osservando le foto, le cartoline degli anni 2000 e le chat tra me e Sam, trovi un orizzonte di possibilità. Ma anche intimità, dolcezza e una devozione all’onestà.

Nel tuo lavoro attraversi fotografia, performance, scrittura e attivismo. Quando hai capito che la tua pratica artistica non sarebbe stata solo estetica, ma anche uno spazio politico?
L’ho capito iniziando a lavorare, scegliendo cosa mostrare e chi mettere in primo piano. Nei miei videoclip musicali, più di 20 video dal 2016 al 2020 ho sempre scelto persone comuni, donne, corpi non conformi e antieroi come protagonisti.
La stessa cosa è avvenuta e sta avvenendo nel cinema, con Love Club (2023, Prime Video Italia), la prima serie TV italiana scritta e interpretata da persone queer, che ho co-creato e scritto, ha come protagonisti storie inascoltate, intersezionali di persone comuni, che sì sono anche queer, ma sono anche altro.
Per quanto riguarda la fotografia, invece, T-Boy, l’opera che nel 2021 è stata esposta a Ultraqueer al Palazzo Merulana di Roma, presente anche nel libro, è stata scelta da Michela Murgia come sua opera preferita di quella mostra collettiva, si è scattata una foto davanti e poi ha scritto un post a riguardo. La mia fotografia così sincera e intima era stata legittimata da una voce così potente nel panorama culturale e intellettuale italiano, e non solo mi ha fatto piacere, ma mi sono sentita capita. Al di là dell’estetica, ma per il messaggio.

C’è una prima immagine, fotografica o mentale, in cui hai riconosciuto per la prima volta la tua voce autoriale e il tuo modo di guardare il mondo?
Ho iniziato a scattare quando ero molto piccola, lavorando con l’autoscatto nella mia adolescenza, poi l’analogico è diventato la mia ossessione. Ho ritrovato poco tempo fa il mio Tumblr e, al suo interno, alcune fotografie in cui riconosco la stessa visione con cui guardo ora il mondo. Con Un Fantastico Altrove il mio autoritratto e la mia fotografia è più libera, anche dalla visione degli altri: ho meno paura di come appaio, se appagante per uno sguardo altrui. Metto in relazione ciò che significa per me essere una persona non binaria: giocare con il mio corpo, con il mio nudo, travestendomi come in un gioco d’infanzia in cui puoi diventare tutto quello che vuoi.

La tua produzione è autobiografica ma mai autoreferenziale: sembra piuttosto un modo per comprendere e decodificare la realtà. Quanto del tuo lavoro nasce dall’istinto, e quanto è invece il risultato di una costruzione meditata?
Entrambi i processi fungono da bilanciere nel mio lavoro. In primis perché è un lavoro personale che poi viene mediato e costruito in maniera collettiva. Sono abituata a lavorare sempre in gruppo, come nei set, così ho creato una mia squadra anche per il libro con Micaela Flenda, la curatrice e autrice dei testi, lo stesso Sam, Giuliano Iacobelli l’editore e Giovanni e Cecilia dei Paper Paper. Credo molto nella costruzione di un’opera collettiva insieme, partendo dalla mia materia prima, come accade sul set, con la mia sceneggiatura.

Una parte del pubblico ti considera una voce necessaria della narrativa queer contemporanea. Come vivi questa percezione? Ti responsabilizza, ti pesa o semplicemente ti attraversa mentre continui a creare?
Sono grata di questi pensieri, che non solo mi attraversano ma mi riempiono. So quanto sia difficile portare avanti le proprie voci: da una parte mi responsabilizza, e allo stesso tempo sono io stessa a responsabilizzarmi.
Ho creato, insieme a un gruppo di persone bellissime. il primo Pride nella mia provincia, ma è nato proprio perché sono stata criticata pubblicamente dalle istituzioni locali, hanno sbattuto il mio volto in prima pagina perché osavo portare della cultura queer (che per loro non esiste) con storie come quelle di Valentina Petrillo e Lucy Salani in occasione del Tdor 2024. Ma questa rabbia e ingiustizia è stata trasformativa: abbiamo preso il nostro spazio, anche in quell’occasione, creando neanche un anno dopo, nella stessa provincia, il primo VCO Pride. Ho imparato che quando cercano di colpirti sul personale, togliendoti dalla forza della collettività per depotenziarti, è proprio quello il momento di fare unione e reagire, senza paura.

Il tuo percorso ti ha portato spesso a vivere e lavorare fuori dall’Italia. Cosa hai scoperto di te guardandoti da lontano? E cosa hai ritrovato tornando “a casa”, qualunque significhi per te questo concetto?
Mi sento più libera qui in Canada, lo vedo in quello che scrivo, come vedo il mio riflesso nel telefono quando chiamo i miei genitori. Ho scoperto che c’è tanto valore in quello che faccio. Non sono ancora tornata a “casa”, per ora ne sto costruendo una qui, con Sam. E guardandomi da lontano ho capito anche quanto, in Italia, il mio percorso fosse stato in passato appesantito da fardelli: persone che mi dicevano che mi avevano inventata o che pretendevano di definirmi. Qui ho potuto scrollarmeli di dosso. Un Fantastico Altrove è libero da quegli sguardi. È uno spazio che mi sono costruita e dove posso essere libera, molteplice e complessa.

